scaragiusep
2012-01-01 03:36:04 UTC
Sui libri di Fisica noto spesso che si fa un largo uso del simbolo d, che matematicamente esprime il differenziale di una funzione. Per esempio, leggo espressioni del tipo "consideriamo il volumetto infinitesimo di volume dV=dxdydz, oppure "consideriamo un punto a distanza vec (dr) da un altro punto" e cosi via.
Ora dal Pagani-Salsa Analisi 1 leggo che, un caso particolare di differenziale è quello del differenziale della funzione f(x)=x.
Tale differenziale, che indico con dx, è per definizione pari a 1*h, dove h è il generico incremento della variabile indipendente, incremento che non necessariamente è infinitesimo (cosa che invece affermano molti testi di fisica che dicono che il differenziale di una funzione è una quantità infinitesima, concordate?): dx=h. Ciò dunque mette in evidenza che il differenziale di f(x)=x è esattamente uguale all'incremento della variabile indipendente della funzione f(x)=x e quindi mi suggerisce un modo alternativo per esprimere l'incremento h di una variabile indipendente a: porre appunto h uguale a d(a).
Questo fatto mi fa allora pensare che, quando devo eseguire ragionamenti che comportano una variazione "piccola" di variabili indipendenti, io posso indicare tali incrementi con il differenziale di funzioni x, y, z e cosi via.
Quindi, quando dal punto di vista fisico vado a considerare un volume molto piccolo, la scritta dxdydz è giustificata dai seguenti ragionamenti:
fissato un sistema di riferimento cartesiano Oxyz, consideriamo un parallelepipedo di volume h_1h_2h_3, dove h_1, h_2, h_3 sono piccole variazioni delle variabili indipendenti x,y,z (e non per forza queste variazioni devono essere infinitesime). Tali variazioni coincidono con il differenziale delle funzioni f(x)=x, f(y)=y, ed f(z)=z per cui è possibile porre h_1=dx, h_2=dy, h_3=dz giusto?
Stanno così le cose? Qualora non fosse cosi, non vi sembra che l'uso di quel $d$ sia un vero e proprio "abuso di notazione", oltre a non avere nessun senso?
Grazie mille.