In fisica, col termine relatività si fa riferimento genericamente alle trasformazioni matematiche che devono essere applicate alle descrizioni dei fenomeni nel passaggio tra due sistemi di riferimento in moto relativo. L'espressione teoria della relatività è usata per riferirsi ad una delle particolari teorie, come la teoria della relatività speciale o quella generale di Einstein, che hanno come elemento fondante un particolare principio di relatività.
Indice
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* 1 Evoluzione della teoria della relatività
* 2 Teoria galileiana
o 2.1 Critica della relatività galileiana
* 3 La relatività secondo Einstein
o 3.1 Relatività ristretta
o 3.2 Relatività generale
o 3.3 E = mc²
* 4 Ipotesi sulle origini
* 5 Voci correlate
* 6 Bibliografia
* 7 Collegamenti esterni
Evoluzione della teoria della relatività [modifica]
Gli antichi greci cominciarono a interrogarsi sulla natura, sul suo ordine (cosmo) e sulla possibilità dell'esistenza di princìpi e leggi di natura. Quasi tutti i filosofi dell'antichità, tra cui Eraclito, Parmenide, Zenone, Leucippo, Democrito, Platone ed Aristotele, si occuparono di questioni che almeno in parte sono inerenti a quella che oggi viene chiamata fisica, parola che ha origine greca e che sta a rappresentare "le cose della natura". Nella fisica di Aristotele si trovano quelle che si potrebbero considerare come le prime teorie, in senso moderno, sul moto; benché egli non sia un precursore del principio d'inerzia, si può già riconoscere, all'interno dei suoi scritti, alcune tematiche a tutt'oggi attuali. Alcuni studiosi vi hanno riscontrato intuizioni relativistiche.
La scienza moderna comincia con l'assunto fondamentale, dovuto a Galileo Galilei, che le leggi della fisica abbiano la stessa forma rispetto a qualunque sistema di riferimento si adotti nel quale valga il principio di inerzia. Questo assunto venne definito nel 1609, è oggi chiamato principio di relatività galileiano, tuttora valido. Esso si basa sulla grande intuizione di Galileo della composizione dei moti e quindi della legge di somma delle velocità: se due osservatori sono in moto relativo tra loro e ognuno di loro si sposta con uniformità, in modo che la velocità relativa sia costante, misureranno spazi differenti rispetto allo stesso evento, ma la "forma" delle loro osservazioni ha la stessa veste algebrica. Nulla tuttavia si dice sui tempi.
Il concetto che il tempo sia legato al sistema di riferimento è il contributo proprio ed originale di Albert Einstein. Infatti, quando Newton, leggendo e studiando con accuratezza sia il Dialogo sopra i Massimi Sistemi, sia i Discorsi sopra una Nuova Scienza, interpretò le intuizioni originali presenti a livello geometrico negli scritti di Galileo, le assimilò e le fece proprie, originando così la forma matematica e fisica della meccanica, si trovò di fronte al principio di relatività e gli divenne manifesto che la sua adozione implicasse in modo necessario un riferimento in cui la prima legge della dinamica (la legge di inerzia di Galileo) dovesse avere piena validità. Il vero problema tuttavia era e rimane dove collocare tale sistema di riferimento: risolse il dilemma asserendo che tutti gli spazi relativi si riferissero ad uno spazio assoluto, il solo esistente invariato e immutabile, e che l'immutabilità dello spazio assoluto fosse nient'altro che l'espressione dell'esistenza di un tempo assoluto, che scorre uniformemente, pervadendo tutto lo spazio assoluto.
La soluzione di Newton fu brillante e diventò un paradigma destinato a durare per secoli. Già Galileo, tuttavia, con i suoi tentativi di misurare la velocità della luce su base terrestre, esprimeva dubbi non risolti per l'epoca su come si dovesse intendere il principio di relatività e quindi il principio di inerzia ad esso strettamente correlato. Questi dubbi rimasero sopiti, offuscati dal fulgore del grande successo della meccanica newtoniana, fino al 1905.
Con l'avvento delle equazioni di Maxwell, delle trasformazioni di Lorentz e infine della teoria della relatività di Einstein viene meno il concetto, fino ad allora dato per scontato, di tempo assoluto. La teoria ristretta parte dall'assunto che se la velocità della luce è una costante allora il tempo e lo spazio sono delle variabili. Il tempo e lo spazio sono legati insieme a formare quello che viene chiamato spaziotempo. Quando ci si muove rispetto ad un sistema di riferimento il tempo rallenta e la massa aumenta in maniera crescente man mano che ci si avvicina alla velocità della luce. Da qui si deduce il motivo per cui la teoria della relatività ristretta dice che non è possibile superare, o anche solo raggiungere, la velocità della luce; il tempo si fermerebbe e la massa diventerebbe infinita. La relatività generale postula invece l'uguaglianza della massa gravitazionale e della massa inerziale, e ne ricava la "forma" dello spaziotempo, ovvero la sua metrica generale.
Si dice "teoria" della relatività non perché sia una semplice teoria ancora da confermare, ma semplicemente perché questo è il nome dato alla sua nascita e da allora non è mai stato modificato. Nonostante abbia dei limiti, in quanto considera continui la materia e lo spaziotempo e tralascia la meccanica quantistica, resta una delle teorie più precise mai verificate sperimentalmente.
Teoria galileiana [modifica]
Nata con la fisica classica dal punto di vista matematico, è rappresentata da un sistema di equazioni che lega le coordinate di un sistema di riferimento con quelle di un secondo sistema di riferimento che si muove con velocità costante v rispetto ad esso. Le trasformazioni classiche consistono in: relatività galileiana, relatività di Galileo-Newton e trasformazioni di Galileo.
Due osservatori, che devono poter comunicare fra di loro, determinano due diverse posizioni per il medesimo oggetto mobile che si trova in una data posizione. I due osservatori OI e OII che studiano il moto di un medesimo punto P, determinano contemporaneamente la posizione di P e dell'altro osservatore, PI (distanza tra osservatore OI e il punto P) e PI-II (distanza tra OI e OII) per OI e PII (distanza tra OII e il punto P) e PII-I (distanza tra i due osservatori) per OII. Poiché lo spazio si considera euclideo, essi sanno che
PI − II = − PII − I
La relazione fra le due misure è:
PI = PII + PI − II
oppure
PII = PI + PII − I
e quindi entrambi, utilizzando le proprie misure, sono in grado di calcolare cosa ha misurato l'altro. Può anche bastare che uno dei due osservatori effettui le misure e le trasmetta all'altro per i calcoli. Se gli osservatori determinano la posizione P in istanti diversi di una successione temporale allora sono in grado di determinare il vettore posizione di P in funzione del tempo basandosi sulla seguente relazione
PI(t) = PII(t) + PI − II(t)
Le stesse osservazioni effettuate sul piano si possono riproporre nello spazio.
Per poter correlare le due determinazioni, queste devono essere eseguite nel medesimo istante. I due osservatori si devono quindi scambiare un segnale per accordarsi su quando fare la misura e il segnale deve propagarsi istantaneamente (cioè con velocità infinita). Al contrario, se il segnale si deve trasmettere con velocità finita e nota, i due osservatori prima di allontanarsi l'uno dall'altro, per andare ad eseguire le rispettive misure, possono sincronizzare i loro orologi, ma allora si deve supporre che il movimento degli orologi non alteri il sincronismo, né il passo degli orologi stessi (ipotizzando che gli orologi siano della medesima fattura), cosa che si può verificare scambiando dei segnali, ma si ottiene ancora una misura "non corretta", cioè in contraddizione col concetto di tempo assoluto.
Galileo aveva chiaro il problema; fece il tentativo di misurare la velocità della luce, solo che si basò su una distanza terrestre di circa 30 chilometri, la distanza tra due colline in Toscana, da una delle quali egli con un assistente sull'altra collina avrebbero dovuto misurare il tempo di propagazione della luce di una lanterna, prima coperta con un panno e poi scoperta brevemente, con il battito del proprio polso; in queste condizioni non riuscì neppure a sentire due battiti del proprio polso che la luce era già arrivata, dal che Galileo dedusse che la velocità fosse estremamente alta, ma in cuor suo era pronto a giurare che fosse finita. Si poteva quindi trascurare il tempo di propagazione del segnale.
Ciò consente l'effettuazione di misure sincrone. In questo consiste l'approssimazione della relatività di Galileo, validissima in situazioni comuni, nelle quali le velocità in gioco siano molto al di sotto della velocità della luce.
Le teorie galileiane, del tutto valide nel campo della meccanica, dinamica e cinematica, non hanno però validità in campi della fisica, come per esempio nell'elettromagnetismo, nei quali intervengono fenomeni e processi con velocità paragonabili alla velocità della luce: in queste situazioni diventa necessario, per misurare grandezze fisiche in altri sistemi inerziali diversi dal proprio, applicare le trasformazioni di Lorentz, scoperte da Albert Einstein nel 1905. Inoltre sono corrette solo per velocità piccole rispetto alla velocità della luce, quando gli effetti relativistici di Einstein sono piccoli rispetto alle quantità in gioco.
Secondo il fisico Leonardo Ricci, la relatività galileiana era già nota prima della sua formulazione, almeno nei principi generali, legati alla relatività dello spazio. A sostegno della sua ipotesi, Ricci cita Dante Alighieri. Nel canto XVII dell'Inferno, e precisamente nei versi 115-117, il poeta scrive:
«Ella sen va notando lenta lenta;
rota e discende, ma non me n'accorgo
se non che al viso e di sotto mi venta»
In un articolo pubblicato su Nature nel 2005, Ricci fa notare come Dante fosse ben consapevole della visione scientifica del mondo suo contemporaneo; senza di essa non avrebbe potuto scrivere la sua opera. Di passaggio, Ricci rileva che fu proprio Galileo, profondo conoscitore della Divina Commedia, a fornire una prima stima del diametro del girone, in circa 60 chilometri. Galilei si basò su due indicazioni precise (verso 9 del canto XXIX e ai versi 86-87 del canto XXX). Aggiunge Ricci: «Un fisico contemporaneo può dimostrare che, date queste dimensioni e qualunque sia la velocità, la forza fittizia centrifuga avvertita dal passeggero risulterebbe molto più piccola della forza superficiale dovuta al vento apparente: nessuna forza di questo genere è menzionata nella narrazione. Benché un simile ragionamento vada oltre quelle che erano le conoscenze fisiche del Medioevo, Dante aveva tuttavia intuito come il suo moto fosse di fatto rettilineo: egli stesso ne indica la direzione, scomponendo il vettore che descrive il vento apparente nelle due componenti orizzontale ("al viso") e verticale ("di sotto")».
Critica della relatività galileiana [modifica]
Verso la fine del 1800, Ernst Mach e diversi altri, fra cui Hendrik Lorentz, si scontrarono con i limiti della relatività galileiana, non utilizzabile per i fenomeni elettromagnetici. Einstein si trovò quindi di fronte a due trasformazioni diverse: quelle di Galileo, valide in meccanica e quelle di Lorentz, valide per l'elettromagnetismo ma prive di un supporto teorico convincente. La situazione era molto insoddisfacente.
La relatività secondo Einstein [modifica]
Con Albert Einstein, la teoria della relatività ebbe un ulteriore sviluppo e oggi si tende ad associare a tale teoria il nome del fisico tedesco. La sua teoria si compone di due distinti modelli matematici, che passano sotto il nome di:
* Relatività ristretta
* Relatività generale
Relatività ristretta [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Relatività ristretta.
La relatività ristretta, chiamata anche relatività speciale, fu la prima ad essere presentata da Einstein, con l'articolo "Zur Elektrodynamik bewegter Körper" (elettrodinamica dei corpi in movimento) del 1905, per conciliare il principio di relatività galileiano con le equazioni delle onde elettromagnetiche.
Precedentemente, a tal fine, erano state proposte alcune teorie che si basavano sull'esistenza di un mezzo di propagazione delle onde elettromagnetiche, chiamato etere; tuttavia, nessun esperimento era riuscito a misurare la velocità di un corpo rispetto all'etere. In particolare, grazie all'esperimento di Michelson-Morley fu dimostrato che la velocità della luce è costante in tutte le direzioni, indipendentemente dal moto della Terra, non risentendo così del cosiddetto "vento di etere".
La teoria di Einstein scarta quindi il concetto di etere, che oggi non viene più utilizzato dai fisici, anche se informalmente si parla ancora di etere per indicare lo spazio in cui si propagano le onde elettromagnetiche.
La relatività ristretta prende in esame ciò che accade quando gli osservatori si muovono l'uno rispetto all'altro ma non prende in considerazione gli effetti del campo gravitazionale che verranno invece introdotti nella teoria della relatività generale. Essa accetta il principio di Galileo secondo il quale non è possibile discernere se un osservatore è in moto rispetto ad un altro, se nel sistema di riferimento si prendono due osservatori, dato che lo spazio è omogeneo e isotropo. La teoria si basa su due assunti:
1. Le leggi della fisica sono le stesse per tutti gli osservatori in moto inerziale.
2. La velocità della luce nel vuoto è costante in ogni sistema di riferimento
Relatività generale [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Relatività generale.
La teoria della relatività generale venne presentata come serie di letture presso l'Accademia Prussiana delle Scienze, a partire dal 25 novembre 1915, dopo una lunga fase di elaborazione. Esiste un'annosa polemica sulla pubblicazione delle equazioni di campo tra il matematico tedesco David Hilbert ed Einstein; tuttavia, alcuni documenti attribuiscono con una certa sicurezza il primato ad Einstein.
Il fondamento della relatività generale è l'assunto, noto come principio di equivalenza, che un'accelerazione sia indistinguibile dagli effetti di un campo gravitazionale, e dunque che la massa inerziale sia uguale alla massa gravitazionale. Tramite il calcolo tensoriale, Einstein riuscì a determinare la struttura dello spaziotempo, partendo dai tre semplici assunti della relatività ristretta e generale.
Pur dimostrandosi nel tempo estremamente accurata, la relatività generale è una teoria classica, cioè una teoria del continuo, in quanto sviluppata indipendentemente dalla meccanica quantistica e finora mai riconciliata con essa, così come la fisica quantistica, pur potendo includere la relatività ristretta, non tiene conto degli aspetti della relatività generale.
È lecito supporre che, se Einstein fosse stato meno scettico nei riguardi della meccanica quantistica, che pure aveva contribuito a creare, la storia della fisica sarebbe stata differente. Nella relatività generale i limiti sono dovuti essenzialmente al trattamento delle singolarità e degli stati della materia in cui le interazioni gravitazionali e quantistiche arrivano ad avere lo stesso ordine di grandezza. Tra le evoluzioni prospettate per tale teoria, le più note ed investigate sono la teoria delle stringhe e la gravitazione quantistica a loop.
La relatività in senso assoluto rappresenta una difficoltà, in quanto fa riferimento al vuoto assoluto, che in realtà non esiste, in quanto anche la singola attrazione modifica la velocità dei corpi che attraversano la massa; infatti, in realtà un raggio di luce che cade perpendicolare su un liquido a bassa resistenza luminosa devia, facendo cosi capire che diminuisce la sua velocità cinetica.
E = mc² [modifica]
La formula E = mc², propria della teoria della relatività, è sicuramente una delle formule matematiche più famose e molto probabilmente la più famosa in assoluto, ciò grazie alla sua estrema eleganza e semplicità. In sostanza, la formula prende in considerazione:
* E = energia
* m = massa
* c = velocità della luce
Diventa inoltre facile capire come massa ed energia si equivalgano e come esse siano due facce della stessa medaglia; in sostanza la massa è energia estremamente concentrata. Proprio questa equivalenza tra massa ed energia spiega come, concentrando un grosso quantitativo di energia, si possa creare della massa, e quindi materia, e anche come si possa ottenere un grandissimo quantitativo di energia partendo da una piccolissima massa.
Un'applicazione pratica di questo concetto è possibile vederla nel decollo dello Space Shuttle. Quando decolla, di tutto il propellente usato solo all'incirca un grammo diventa energia; tutto il resto si converte in fumo e prodotti della combustione. Utilizzando l'energia nucleare la resa aumenta, ma in una comune bomba atomica, ad esempio, viene convertito in energia solo all'incirca lo 0,5% della massa totale del materiale fissile. Se fosse possibile convertire per intero la massa in energia, il fabbisogno energetico degli abitanti della Terra sarebbe senza alcun dubbio risolto: un chilogrammo di materia corrisponde a 25 miliardi di kWh (25.000 GWh). Questa enorme quantità di energia equivale al consumo mensile di energia elettrica in Italia (che nel 2004 è stato, in media, di 25.374 GWh). L’equivalenza massa-energia ha dimostrato la sua straordinaria potenza anche con le bombe atomiche. La bomba di Hiroshima era di 13 chilotoni, che equivalgono a 54.600 miliardi di joule (13 x 4,2 x 10¹² J); ma questa energia rappresenta soltanto il 60% di quella che sarebbe sprigionata dalla conversione di un solo grammo di materia, che è pari a 90.000 miliardi di joule.
Ipotesi sulle origini [modifica]
La genesi e la paternità della teoria della relatività, così come fu elaborata da Albert Einstein, è circondata da una sorta di mistero che periodicamente torna ad affiorare, generando discussioni nel mondo scientifico. Negli anni ottanta un gruppo di studiosi portò avanti su un quotidiano italiano, Il Giornale di Vicenza, una lunga battaglia a sostegno di una tesi secondo cui la celebre equazione di Einstein, E=mc², sarebbe stata fatta derivare direttamente dallo studio Ipotesi dell'etere nella vita dell'universo, presentata nel 1903 al Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti di Schio (VI) da Olinto De Pretto (1867-1921). De Pretto, laureato in agraria, di professione industriale ma appassionato di fisica e di geologia, non rivendicò mai però la paternità - neppure in nuce - della celeberrima formula. Nel 1999, il "Caso De Pretto" ha trovato tuttavia nuova linfa per mezzo di Umberto Bartocci, docente di storia della matematica all'Università di Perugia, il quale ha narrato la propria visione dei fatti nel pamphlet - accolto peraltro con un certo scetticismo dall'ambiente accademico - Albert Einstein e Olinto De Pretto, la vera storia della formula più famosa del mondo. Ma Einstein, in base alle supposizioni formulate nel tempo intorno al suo lavoro, potrebbe essere stato aiutato nelle sue elaborazioni sulla relatività generale da un altro italiano: il matematico Gregorio Ricci Curbastro (1853-1925) che mise a punto propri particolari calcoli tensoriali.